Con Michele Alhaique, Francesca Cuttica, Awa Ly, Lucia Mascino, Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Rongione, Riccardo Scamarcio, Daniela Tusa
"Rovigo, 3 gennaio 1982. Sergio è il giovane fondatore dell'organizzazione armata di sinistra Prima Linea, attiva negli anni Settanta e dispersa negli Ottanta. Deciso ad assaltare il carcere in cui è detenuta da alcuni anni Susanna, compagna d'armi e d'amore, Sergio arruola un gruppo di ex "combattenti" per abbattere il muro di cinta della prigione e coprire l'evasione. Nel suo viaggio lungo il Polesine ripercorrerà la sua vita, dalla militanza alla lotta armata, fino alla clandestinità, ripassando nella testa i volti e gli (ultimi) sguardi di chi ha assassinato nel nome di uno slancio ribelle e utopico. Incarcerato ed esiliato nella sua individualità, Sergio "depone" le armi e dichiara le colpe che gli appartengono." (mymovies.it)
Renato De Maria dirige, i fratelli Dardenne impongono il marchio. Un marchio che va al di là della prestigiosa produzione, influenzando chiaramente scelte e stile. Il film non dà una visione degli anni Settanta, non approfondisce, non scruta, non analizza cause, motivazioni, risultati di quel periodo, non si apre neppure alla stessa organizzazione "Prima Linea", si concentra sul protagonista, Sergio, lo pedina; lui sì, viene scrutato a fondo. Motivazioni oggi incomprensibili, divengono quasi necessarie nel mondo ideale dei primi affiliati, e scorrono così le prime punizioni, ancora appoggiate dalla base operaia. Poi l'omicidio Moro, il passo indietro dell'organizzazione, e il vortice ormai inarrestabile: gli obiettivi divengono più importanti, cominciano gli omicidi, la base abbandona, restano dei nullafacenti con le armi senza più un credo, se non quello di poter vivere lontano dal carcere. Sulla storia di Prima Linea, la storia d'amore tra Sergio e Susanna, il vero motore del film, strutturato come un lungo flashback, prima dell'assalto al carcere di Rovigo per liberare l'amore della vita. Molte sono le cose buone della pellicola: la scelta di ridurre il campo della vicenda fa sì che allo stile Dardenne si aggiunga cuore e sentimento, così come l'avvicinarsi al carcere è un montare crescente di tensione e furia, al quale il canto a squarciagola delle detenute restituisce una poesia impossibile. Certo, rendere la confessione di Sergio il pretesto per un flashback nel flashback, ingorga la fluidità del film, fa perdere il peso delle parole, mette in difficoltà un attore che per una volta riesce ad essere corpo cinematografico, e non arriva ad una conclusione adeguata perché troppo finta. Meglio forse sarebbe stato concludere col materiale d'archivio di cui il film si fregia. JOKERICO 7